Nella pratica della consapevolezza spesso incontriamo l’esperienza di non sapere più chi siamo davvero. Ci accorgiamo che c’è qualcosa in noi che osserva tutto, silenziosamente, senza identificarsi. La poesia “Io non sono io” del premio Nobel della letteratura Juan Ramón Jiménez ci accompagna proprio in questo spazio interiore, dove dimora una presenza gentile, stabile e quieta.
In poche righe, l’autore riesce a evocare un’intuizione profondamente vicina alla Mindfulness: l’idea che in noi esista qualcosa che non si lascia trascinare dalle onde del pensiero e delle emozioni, ma che semplicemente è.
Ecco il testo della poesia di Juan Ramón Jiménez, che oggi esploriamo sotto la lente della consapevolezza.
Io non sono io
“Io non sono io
sono colui
che cammina accanto a me senza che io lo veda,
che, a volte, sto per vedere,
e che, a volte, dimentico.
Colui che tace, sereno, quando parlo,
colui che perdona, dolce, quando odio,
colui che passeggia là dove non sono,
colui che resterà qui quando morirò.”
— Juan Ramón Jiménez
Il testimone silenzioso della presenza
Questa poesia breve e intensa ci invita in uno spazio intimo e sottile: quello della consapevolezza. Le parole di Jiménez sembrano arrivare da quello stesso luogo calmo e profondo da cui nasce la pratica della Mindfulness. Il poeta ci parla di un “sé” che non si identifica con la voce che parla, con l’odio che sorge, con il corpo che cammina. C’è qualcosa di più ampio, di più vero. Un “testimone” che osserva, accoglie, comprende.
Thich Nhat Hanh avrebbe forse sorriso leggendo questa poesia, riconoscendovi la presenza di quella parte di noi che, nella meditazione, chiamiamo mente che osserva. Quella parte che non si aggrappa, non giudica, non si identifica. È il Sé consapevole che abita il presente, anche quando noi ce ne dimentichiamo.
Jon Kabat-Zinn, dal canto suo, potrebbe aver commentato che questa poesia è una perfetta descrizione dell’effetto della pratica: “Imparare a disidentificarsi dai pensieri, dalle emozioni, dai comportamenti abituali, per tornare alla nostra dimora, alla nostra interezza”.
La presenza che non si agita
“Colui che tace, sereno, quando parlo,
colui che perdona, dolce, quando odio”
Questi versi toccano un punto chiave del cammino di consapevolezza: la coesistenza. Dentro di noi convivono parti diverse. E mentre una parte reagisce, l’altra può restare quieta. Mentre una parte odia, l’altra può osservare con compassione. Non si tratta di reprimere le emozioni, ma di portare luce nel mezzo del buio.
Come ci insegna la Mindfulness, possiamo imparare a non identificarci con le reazioni immediate. Possiamo sentire la rabbia, la paura, l’inquietudine — e allo stesso tempo restare in contatto con una presenza più grande, che accoglie tutto questo senza giudizio.
Il passo che resta quando tutto passa
“Colui che resterà qui quando morirò.”
Qui la poesia “Io non sono io” si fa profondamente spirituale. Non parla di un’anima nel senso religioso del termine, ma di qualcosa che resta: la presenza, il silenzio, lo spazio consapevole. È la parte di noi che non si agita, che non corre, che non ha fretta. La parte che può restare immobile anche quando il mondo trema.
Thich Nhat Hanh ci ha insegnato che la vera pratica è dimorare nel momento presente, perché “noi siamo molto più del nostro corpo, dei nostri pensieri e delle nostre emozioni”. Siamo anche “colui che cammina accanto”, come scrive Jiménez. Non separati, ma più vasti.
Una pratica di ascolto
Possiamo fare un piccolo esercizio di Mindfulness ispirato a questa poesia. La prossima volta che parleremo, notiamo: “C’è una parte di noi che ascolta? Quando sorge un’emozione forte, riusciamo a percepire che non siamo solo quella reazione?”
Chiudiamo gli occhi per qualche respiro e ripetiamo mentalmente:
“Io non sono solo i miei pensieri. C’è qualcosa in me che osserva.”
E poi restiamo lì. In ascolto.
Conclusione
Juan Ramón Jiménez non ci offre una risposta, ma una presenza. Le sue parole ci aiutano a ricordare ciò che troppo spesso dimentichiamo: dentro di noi esiste un luogo in cui possiamo tornare a casa. Un luogo che non giudica, che non si agita, che sa restare.
La poesia di Juan Ramón Jiménez, “Io non sono io”, diventa così un invito alla consapevolezza, alla fiducia in ciò che in noi osserva e ama, anche quando tutto sembra confuso.
Come immagine di copertina ho scelto un disegno di Antony Gormley, intitolato Self and Not-Self (o in alcune versioni semplicemente parte della serie “Body and Shadow”), a mio avviso perfettamente in linea con la poesia “Io non sono io” di Juan Ramón Jiménez.
Il disegno evoca con straordinaria forza visiva il tema centrale della poesia di Jiménez: la presenza di un “altro sé” che cammina accanto, indistinto ma reale. Le due figure affiancate, quasi fuse eppure distinte, sembrano rappresentare l’io che agisce e il testimone che osserva.
Nel linguaggio della Mindfulness, questa dualità apparente è in realtà l’espressione di un’unica consapevolezza che include e abbraccia tutte le parti di noi: quella che parla e quella che tace, quella che prova odio e quella che perdona.
Le ombre proiettate, leggere e in dissolvenza, sembrano suggerire ciò che resta quando tutto il resto passa. Un invito a riconoscere che, anche quando dimentichiamo chi siamo, c’è sempre qualcosa in noi che resta in silenzio e osserva.